"Habiba la magica" vive a Roma, in periferia,
come tanti altri immigrati. Ha la pelle scura, i capelli con le
treccine, tifa per la Roma e certo non ama i laziali. Habiba è nata in
Italia da mamma africana, frequenta scuole italiane, parla romano, si
sente molto italiana ma non lo é per via della legge che non la
riconosce tale. Sin qui l'identikit della piccola afro-italiana, che un
giorno riceve in dono da una strega che sta andando in pensione una
scopa magica. La più prodigiosa delle magie che sa compiere è far volare
le persone. Ancora più sorprendente è che a un certo punto Habiba
impari a volare da sola. Glielo ha suggerito il vento dicendole "chi
vuole vola". Così la piccola protagonista scoprirà le bellezze di Roma e
risolverà con i suoi amici il giallo di un rapimento. Soprattutto,
scoprirà la forza che ciascuno di noi ha e non sa di avere.
A chi chiede all'autrice Chiara Ingrao se la sua sia una storia di immigrazione, di diritti negati, di identità non riconosciute e di integrazioni riuscite (o fallite), si sentirà rispondere di no. O meglio, è questo, ma è soprattutto altro. "Più che sul razzismo, direi che la mia è una fiaba che rivendica il diritto all'immaginazione per tutti e tutte", ha sottolineato l'autrice in una recente intervista. Racconta come sia stata colpita – leggendo un articolo sul New York Times apparso proprio nei giorni in cui usciva il suo libro – dal fatto che solo una piccolissima percentuale di protagonisti della recente letteratura per ragazzi è di colore e come, nella quasi totalità, la loro presenza sia confinata in ruoli di "protesta sociale", lì dove si tratta di raccontare storie di diritti civili o di emarginazione. Con Habiba, invece, Chiara Ingrao vuole compiere un'altra operazione. Associa il racconto dell'immigrazione e dell'integrazione a quello della immaginazione rivendicando anche questo diritto. In fondo, raffigurare un piccolo immigrato o di famiglia di immigrati solo come un individuo che deve conquistare diritti concreti (sia pur fondamentali) e non anche quelli "immateriali" come il diritto al gioco, alla fantasia, al sogno, all'immaginazione è anche questa una forma di razzismo, sembra suggerire il libro.
A chi chiede all'autrice Chiara Ingrao se la sua sia una storia di immigrazione, di diritti negati, di identità non riconosciute e di integrazioni riuscite (o fallite), si sentirà rispondere di no. O meglio, è questo, ma è soprattutto altro. "Più che sul razzismo, direi che la mia è una fiaba che rivendica il diritto all'immaginazione per tutti e tutte", ha sottolineato l'autrice in una recente intervista. Racconta come sia stata colpita – leggendo un articolo sul New York Times apparso proprio nei giorni in cui usciva il suo libro – dal fatto che solo una piccolissima percentuale di protagonisti della recente letteratura per ragazzi è di colore e come, nella quasi totalità, la loro presenza sia confinata in ruoli di "protesta sociale", lì dove si tratta di raccontare storie di diritti civili o di emarginazione. Con Habiba, invece, Chiara Ingrao vuole compiere un'altra operazione. Associa il racconto dell'immigrazione e dell'integrazione a quello della immaginazione rivendicando anche questo diritto. In fondo, raffigurare un piccolo immigrato o di famiglia di immigrati solo come un individuo che deve conquistare diritti concreti (sia pur fondamentali) e non anche quelli "immateriali" come il diritto al gioco, alla fantasia, al sogno, all'immaginazione è anche questa una forma di razzismo, sembra suggerire il libro.